Il sisma dell'Aquila. Le frazioni di Paganica e Onna dieci anni dopo.

2019 
A distanza di dieci anni dal sisma dell’Aquila, ci si interroga su quali delle scelte messe in atto nell’ambito di quel modello di ricostruzione, sfociato nell’ambizioso progetto C.A.S.E., siano state realmente propedeutiche e funzionali ad una futura rinascita del territorio abruzzese e quali invece possono paradossalmente aver ostacolato gli auspicati fenomeni di riappropriazione identitaria dei suoli colpiti. Piu che sulla citta di L’Aquila, sulla quale va fatto un discorso a parte oltremodo complesso, considerando il suo ruolo di capoluogo e di contenitore di funzioni sociali e amministrative rilevanti, prima del terremoto, cio che si e voluto indagare e l’esistenza o meno di un rapporto tra i nuovi insediamenti delle aree dei C.A.S.E. e dei villaggi M.A.P., nati per sopperire all’emergenza abitativa, e le numerose piccole frazioni disseminate sul territorio comunale, le quali seppur non direttamente connesse fisicamente alla citta ne rappresentavano la linfa vitale (basti pensare alla storia della fondazione della citta stessa). La prima domanda da cui e nato il presente lavoro e se i nuovi insediamenti abbiano distolto l’attenzione dalla ricostruzione dei centri storici minori. In secondo luogo, si e cercato di comprendere quali sono stati gli strumenti di pianificazione e gestione per restituire un’identita e un futuro a tali piccole realta, significative in quanto costituivano, prima del 2009, una rete di borghi che caratterizzava fortemente il territorio abruzzese. Infine, il fatto che sia trascorso ormai un lasso di tempo sufficiente per poter osservare dei cambiamenti significativi, a livello urbano e sociale, nei processi della ricostruzione, consente di fare alcune considerazioni in merito all’efficacia reale degli strumenti sopracitati.
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